Sono qui sul letto con le mie due bambine che dormono beate. La finestra socchiusa fa sentire qualche voce sui balconi di fronte, intervallate dalle sirene delle ambulanze che si susseguono tremendamente vicine. Penso a ieri, quando sono andata a ritirare le medicine e ho portato ai miei suoceri una pomata per la schiena. Sono due persone ultraottantenni e sono chiuse in casa oramai da una settimana senza vedere le loro nipoti, unica fonte di gioia vera. Li ho salutati dal balcone e gli ho posato la crema fuori dalla porta, mentre loro mi hanno lasciato un libro e un regalo per Isabella. Mi hanno detto "noi viviamo aspettando le 20" ora in cui facciamo la videochiamata. Andandomene ho attraversato i paesi deserti, i punti dove prima si accalcavano le persone ora vuoti, la rotonda sempre trafficata ora senza nemmeno un auto.
La magnolia davanti al garden è esplosa nei suoi colori e gli alberi sono pieni di gemme verdi. Sono scoppiata a piangere dopo qualche secondo, sola, lontana da tutti, sono sprofondata nella tristezza.
Quanto ci vorrà per tornare alla normalità? Andrà davvero tutto bene? Ci saranno persone, intere comunità, distrutte da questo profondo male che ha generato dolore, ansia, profonda amarezza. Nulla sarà come prima, nel bene e nel male. Tutto e' stato ridimensionato.
Qui di fronte c'è una scuola e non sentire il vociare dei bambini mi distrugge il cuore.
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