Siamo state amate e odiate,
adorate e rinnegate,
baciate e uccise,
solo perché donne.
Si
sposarono quando lei era incinta del loro primo figlio. Stavano insieme
dall’età di venticinque anni.
Matteo,
più giovane di qualche anno. Una famiglia sgangherata alle spalle: un padre
padrone, una madre a casa equiparata a cameriera, lui era uno indipendente
amante dell'arte di cavarsela da solo sempre, una persona semplice e
pragmatica.
Serena
ultima di tre figli, viziata e inconcludente dal punto di vista scolastico e
lavorativo, amava la vita facile, poco incline all'ascolto dei consigli sia dei
genitori sia dei fratelli.
Si erano
conosciuti in una discoteca e da allora era iniziata la loro storia. Matteo si
trasferì presto da lei perché viveva lontano ed i genitori dovettero mettersi
l'anima in pace ed ospitarlo, di fronte alla richiesta imperativa della figlia.
Aveva
un'impresa e già qualche tempo prima del matrimonio, rassicurava Serena sul
loro futuro, dicendo che avrebbe pensato a tutto lui e che sarebbe stato bello
se avesse scelto di stare a casa con i figli. Per Serena questo era un segno di
grande amore e dedizione alla famiglia. Quando si trovava con la sorella spesso
parlavano dell'argomento ma lei l'aveva sempre messa in guardia da questo tipo
di atteggiamento dicendole che avrebbe potuto sfociare in un controllo assoluto
della sua vita. Le diceva di avere un reddito suo per non dover dipendere da
nessuno, amici suoi con cui uscire. Serena il più delle volte la ignorava e
anzi tendeva ad arrabbiarsi impedendole di intromettersi nella sua vita,
dicendole che era solo gelosa della sua bellissima storia d'amore.
Il tempo
passava, i due ragazzi decisero di mettere su casa e la famiglia di Serena,
come da tempo aveva deciso, le fece dono di uno stabile da ristrutturare che
col tempo e la fatica resero abitabile prima del matrimonio. Arrivarono le
nozze e immediatamente dopo, la nascita del figlio. Il piccolo cresceva e dopo
qualche tempo ne arrivò un altro.
Con il
tempo Matteo si era dimostrato un padre poco presente, tanto impegnato ad
occuparsi del sostentamento della famiglia senza capire che la famiglia aveva
bisogno di lui. Amore, gioco, complicità: queste cose erano a lui sconosciute.
Serena
dedita alla vita dei piccoli, avrebbe voluto chiedergli una mano ma lui
rincasava sempre distrutto, a malapena salutava e lei non se la sentiva di
fargli carico di ulteriori fatiche.
Il peso
delle fatiche contribuiva ad aumentare nervosismo e stanchezza in entrambi: una
sera a cena, i piccoli erano più rumorosi del solito. Serena aveva bisogno di
chiedere alcuni soldi per la settimana.
Matteo
reagì malissimo iniziando ad urlare: "non
riesci proprio a fare niente, ti ho dato cento euro settimana scorsa, li hai
già finiti?!"
Serena
rimase impietrita "ma ho fatto spesa
e pagato i libri del piccolo, non ricordi?"
"Ma sì sì, come ti pare" e
alzandosi, lanciò cinquanta euro sul tavolo.
"Se vuoi mi cerco un lavoro, non voglio che
ti accolli tutto il peso economico della famiglia"
Matteo la
guardò con aria di supponenza "Cosa
vuoi fare tu? non sei neanche buona di gestire la famiglia cosa vuoi cercare.
Sarà meglio che ti occupi dei tuoi figli" e uscì sbattendo la porta.
Ogni
occasione era buona per umiliarla, frasi del tipo non sai crescere i figli, guardati
sembri una poveretta, la cena fa
schifo si susseguivano di giorno in giorno. Per non parlare di quando lei
si offriva di aiutarlo sul lavoro: le urla si sentivano dalla strada, secondo
lui era sempre tutto sbagliato.
Serena
iniziava a pensare di essere un'incapace e quando era troppo piena e stava per
scoppiare, si sfogava con i bambini urlando non appena qualcosa non andava come
voleva. Pensava di essere brutta e poco attraente. Pensava di essere una madre
pessima. Le persone che le gravitavano attorno cercavano di farle aprire gli
occhi dicendole che stava perdendo il sorriso, che era sempre cupa, arrabbiata,
tesa.
Serena
rispondeva che non era vero, che era solo un periodo e che se questa era la
mano che potevano darle, sapeva fare anche sola.
Con il
tempo gli amici le telefonavano sempre meno, le visite si contavano sulle dita
di una mano.
Durante
la settimana il copione era sempre il medesimo ma quando arrivava il venerdì,
Serena pensava che Matteo avrebbe voluto stare con la sua famiglia. Al
contrario Matteo rincasava e dopo aver cenato, si preparava ed usciva
rientrando spesso in tarda nottata.
Lei lo
giustificava sempre, pensando che fosse necessario, ad una persona con i suoi
ritmi, avere un momento di svago.
Il sabato
era in giro per lavoro e la domenica a casa a sistemare gli affari.
Le
vacanze non erano mai un occasione per stare insieme: non potevano pianificarle
perché lui voleva sempre essere disponibile al lavoro e quindi per non sentirsi
rinfacciare mancanze, gli costruì "il castello delle fiabe"
direttamente in giardino: una piscina, un giardino sempre verde, giochi
gonfiabili. Tutto quello che era possibile per evitare che Serena volesse
andare da qualche parte. Sembrava che non dovessero mai uscire di lì. Gli amici
iniziarono a vedere questa cosa: ogni volta che gli proponevano qualcosa loro
declinavano l'invito rilanciando con un
perché non venite da noi?. Una volta poteva andare, due anche ma poi le
persone trovavano mille scuse per non andare.
La loro
intimità era quasi inesistente: Serena cercava sempre di creare nuovi
presupposti ma lui si giustificava dicendo che era stanco o che doveva
smetterla di fingere. Le poche volte che cedeva alle avance proponeva un sesso
gretto, volgare senza dolcezza. Non c'era interesse, né amore, né passione.
Il tempo
passava, i figli crescevano. Sempre più nervosi, urlatori folli, qualche
problema di apprendimento e qualche difficoltà di carattere affettivo. Ogni
volta che la madre litigava con loro o che era esausta dopo un rimprovero
diceva loro che se ne sarebbe andata per sempre. Loro sentivano questo è lo
interiorizzavano. Era inspiegabile: prima parole di fuoco, urla e mani volanti
e subito dopo appiccicati alla madre per paura di perderla.
Lei aveva
i nervi a fior di pelle, i pranzi e le cene avevano sempre lo stesso copione:
poche parole, occhiate più o meno scure, rimproveri sul tipo di cena che un
bambino o l’altro non mangiavano. Serena, non appena il marito si alzava da
tavola, si versava un bicchiere di vino e se lo beveva in un sorso e dopo
avergli portato il caffè sul divano tornava in cucina e si beveva un amaro. Era
l'unico modo per sentirsi leggera, per poter fantasticare su una vita diversa.
Si sentiva in trappola, annientata senza dignità. Aveva pensato di trovarsi un
lavoro che la portasse fuori di casa almeno qualche ora, ma lui si era
prepotentemente scagliato contro questa sua decisione. Lei era sua proprietà e
faceva ciò che lui diceva.
Una
mattina si alzò, preparò la colazione e portò
i figli a scuola, quando rientrò a casa si sentì venire meno le forze e
crollò a terra.
Si
svegliò qualche ora dopo intontita e con un bollo rosso sulla fronte per la
botta presa. Andò in bagno e si guardò il viso, "adesso che gli dico" pensò.
La
giornata giunse al termine e arrivò ora di cena, quando Matteo arrivò a casa la
guardò in viso e le chiese cosa avesse fatto, lei rispose che aveva sbattuto
contro il mobile. Lui le disse che era talmente goffa che non riusciva nemmeno
a muoversi senza farsi del male. Lei presa da un impeto di rabbia uscì dalla
stanza sbattendo la porta. Lui si alzò per seguirla e disse ai ragazzi di
rimanere seduti e chiuse la porta. La raggiunse in bagno e la prese per un
polso. Dicendole che non si doveva permettere mai più di fare un gesto così
davanti ai suoi figli.
Perché se no che mi
fai disse Serena
con gesto di sfida.
Non mi provocare.
Che fai dai, voglio
vedere.
Lui non
se lo fece ripetere due volte e le scagliò uno schiaffo che la tramortì e la
fece cadere a terra priva di sensi. Immediatamente Matteo le disse di alzarsi e
di smetterla di fare la scena ma Serena non riprendeva conoscenza. Si alzò
girandosi verso la porta. I ragazzi erano lì che guardavano la scena allibiti.
Cosa fate lì
impalati, datemi il telefono.
Chiamò
l'ambulanza e disse loro che la moglie si era sentita male ed era priva di
coscienza. Quando arrivarono la presero e la portarono giù in barella, andarono
di corsa all’ospedale. La diagnosi era di esaurimento nervoso oltre ad alcune
contusioni prese ovviamente dalla caduta. Doveva rimanere in ospedale per un
po' di tempo.
Appariva
denutrita, fegato in affaticamento, una forte crisi nervosa. Quando si svegliò,
accanto a Serena c'era la madre che piangendo le domandava cosa fosse davvero
successo. Serena piangeva ma non riusciva a parlare. Arrivarono i bambini con
il padre, salirono sul letto per abbracciarla. Lei aveva lo sguardo fisso in
alto e quando entrò il marito cominciò a tremare.
La madre
disse che era meglio che tutti uscissero perché Serena doveva riposare.
Le chiese
di nuovo: cosa c’e’ che non va?
Serena la
guardò e disse: la mia vita non va.
La madre
le prese la mano promettendole che l'avrebbe aiutata. Chiamò uno psicologo che
all’insaputa del marito andava a trovarla due volte al giorno, quando nessun
visitatore poteva entrare. Dopo due settimane era riuscita a esternare il suo
malessere, dire la verità e acquisire il coraggio di denunciare il marito. La legge
avrebbe avuto di sicuro un decorso lungo e problematico poiché doveva indagare
su un processo di annientamento psicologico culminato con una violenza fisica,
ma era l’unica cosa da fare per andare avanti. Da quel momento, al marito venne
impedito l'accesso all’ospedale e un avvocato si prese a carico la separazione.
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Elisa leggerti è meraviglioso lieto di seguirti
RispondiEliminaMaurizio