sabato 12 novembre 2022

....quante come Serena



Siamo state amate e odiate,
adorate e rinnegate,
baciate e uccise,
solo perché donne.

(Alda Merini)



Si sposarono quando lei era incinta del loro primo figlio. Stavano insieme dall’età di venticinque anni.

Matteo, più giovane di qualche anno. Una famiglia sgangherata alle spalle: un padre padrone, una madre a casa equiparata a cameriera, lui era uno indipendente amante dell'arte di cavarsela da solo sempre, una persona semplice e pragmatica.

Serena ultima di tre figli, viziata e inconcludente dal punto di vista scolastico e lavorativo, amava la vita facile, poco incline all'ascolto dei consigli sia dei genitori sia dei fratelli.

Si erano conosciuti in una discoteca e da allora era iniziata la loro storia. Matteo si trasferì presto da lei perché viveva lontano ed i genitori dovettero mettersi l'anima in pace ed ospitarlo, di fronte alla richiesta imperativa della figlia.

Aveva un'impresa e già qualche tempo prima del matrimonio, rassicurava Serena sul loro futuro, dicendo che avrebbe pensato a tutto lui e che sarebbe stato bello se avesse scelto di stare a casa con i figli. Per Serena questo era un segno di grande amore e dedizione alla famiglia. Quando si trovava con la sorella spesso parlavano dell'argomento ma lei l'aveva sempre messa in guardia da questo tipo di atteggiamento dicendole che avrebbe potuto sfociare in un controllo assoluto della sua vita. Le diceva di avere un reddito suo per non dover dipendere da nessuno, amici suoi con cui uscire. Serena il più delle volte la ignorava e anzi tendeva ad arrabbiarsi impedendole di intromettersi nella sua vita, dicendole che era solo gelosa della sua bellissima storia d'amore.

Il tempo passava, i due ragazzi decisero di mettere su casa e la famiglia di Serena, come da tempo aveva deciso, le fece dono di uno stabile da ristrutturare che col tempo e la fatica resero abitabile prima del matrimonio. Arrivarono le nozze e immediatamente dopo, la nascita del figlio. Il piccolo cresceva e dopo qualche tempo ne arrivò un altro.

Con il tempo Matteo si era dimostrato un padre poco presente, tanto impegnato ad occuparsi del sostentamento della famiglia senza capire che la famiglia aveva bisogno di lui. Amore, gioco, complicità: queste cose erano a lui sconosciute.

Serena dedita alla vita dei piccoli, avrebbe voluto chiedergli una mano ma lui rincasava sempre distrutto, a malapena salutava e lei non se la sentiva di fargli carico di ulteriori fatiche.

Il peso delle fatiche contribuiva ad aumentare nervosismo e stanchezza in entrambi: una sera a cena, i piccoli erano più rumorosi del solito. Serena aveva bisogno di chiedere alcuni soldi per la settimana.

Matteo reagì malissimo iniziando ad urlare: "non riesci proprio a fare niente, ti ho dato cento euro settimana scorsa, li hai già finiti?!"

Serena rimase impietrita "ma ho fatto spesa e pagato i libri del piccolo, non ricordi?"

"Ma sì sì, come ti pare" e alzandosi, lanciò cinquanta euro sul tavolo.

"Se vuoi mi cerco un lavoro, non voglio che ti accolli tutto il peso economico della famiglia"

Matteo la guardò con aria di supponenza "Cosa vuoi fare tu? non sei neanche buona di gestire la famiglia cosa vuoi cercare. Sarà meglio che ti occupi dei tuoi figli" e uscì sbattendo la porta.

Ogni occasione era buona per umiliarla, frasi del tipo non sai crescere i figli, guardati sembri una poveretta, la cena fa schifo si susseguivano di giorno in giorno. Per non parlare di quando lei si offriva di aiutarlo sul lavoro: le urla si sentivano dalla strada, secondo lui era sempre tutto sbagliato.

Serena iniziava a pensare di essere un'incapace e quando era troppo piena e stava per scoppiare, si sfogava con i bambini urlando non appena qualcosa non andava come voleva. Pensava di essere brutta e poco attraente. Pensava di essere una madre pessima. Le persone che le gravitavano attorno cercavano di farle aprire gli occhi dicendole che stava perdendo il sorriso, che era sempre cupa, arrabbiata, tesa.

Serena rispondeva che non era vero, che era solo un periodo e che se questa era la mano che potevano darle, sapeva fare anche sola.

Con il tempo gli amici le telefonavano sempre meno, le visite si contavano sulle dita di una mano.

Durante la settimana il copione era sempre il medesimo ma quando arrivava il venerdì, Serena pensava che Matteo avrebbe voluto stare con la sua famiglia. Al contrario Matteo rincasava e dopo aver cenato, si preparava ed usciva rientrando spesso in tarda nottata.

Lei lo giustificava sempre, pensando che fosse necessario, ad una persona con i suoi ritmi, avere un momento di svago.

Il sabato era in giro per lavoro e la domenica a casa a sistemare gli affari.

Le vacanze non erano mai un occasione per stare insieme: non potevano pianificarle perché lui voleva sempre essere disponibile al lavoro e quindi per non sentirsi rinfacciare mancanze, gli costruì "il castello delle fiabe" direttamente in giardino: una piscina, un giardino sempre verde, giochi gonfiabili. Tutto quello che era possibile per evitare che Serena volesse andare da qualche parte. Sembrava che non dovessero mai uscire di lì. Gli amici iniziarono a vedere questa cosa: ogni volta che gli proponevano qualcosa loro declinavano l'invito rilanciando con un perché non venite da noi?. Una volta poteva andare, due anche ma poi le persone trovavano mille scuse per non andare.

La loro intimità era quasi inesistente: Serena cercava sempre di creare nuovi presupposti ma lui si giustificava dicendo che era stanco o che doveva smetterla di fingere. Le poche volte che cedeva alle avance proponeva un sesso gretto, volgare senza dolcezza. Non c'era interesse, né amore, né passione.

Il tempo passava, i figli crescevano. Sempre più nervosi, urlatori folli, qualche problema di apprendimento e qualche difficoltà di carattere affettivo. Ogni volta che la madre litigava con loro o che era esausta dopo un rimprovero diceva loro che se ne sarebbe andata per sempre. Loro sentivano questo è lo interiorizzavano. Era inspiegabile: prima parole di fuoco, urla e mani volanti e subito dopo appiccicati alla madre per paura di perderla.

Lei aveva i nervi a fior di pelle, i pranzi e le cene avevano sempre lo stesso copione: poche parole, occhiate più o meno scure, rimproveri sul tipo di cena che un bambino o l’altro non mangiavano. Serena, non appena il marito si alzava da tavola, si versava un bicchiere di vino e se lo beveva in un sorso e dopo avergli portato il caffè sul divano tornava in cucina e si beveva un amaro. Era l'unico modo per sentirsi leggera, per poter fantasticare su una vita diversa. Si sentiva in trappola, annientata senza dignità. Aveva pensato di trovarsi un lavoro che la portasse fuori di casa almeno qualche ora, ma lui si era prepotentemente scagliato contro questa sua decisione. Lei era sua proprietà e faceva ciò che lui diceva.

Una mattina si alzò, preparò la colazione e portò  i figli a scuola, quando rientrò a casa si sentì venire meno le forze e crollò a terra.

Si svegliò qualche ora dopo intontita e con un bollo rosso sulla fronte per la botta presa. Andò in bagno e si guardò il viso, "adesso che gli dico" pensò.

La giornata giunse al termine e arrivò ora di cena, quando Matteo arrivò a casa la guardò in viso e le chiese cosa avesse fatto, lei rispose che aveva sbattuto contro il mobile. Lui le disse che era talmente goffa che non riusciva nemmeno a muoversi senza farsi del male. Lei presa da un impeto di rabbia uscì dalla stanza sbattendo la porta. Lui si alzò per seguirla e disse ai ragazzi di rimanere seduti e chiuse la porta. La raggiunse in bagno e la prese per un polso. Dicendole che non si doveva permettere mai più di fare un gesto così davanti ai suoi figli.

Perché se no che mi fai disse Serena con gesto di sfida.

Non mi provocare.

Che fai dai, voglio vedere.

Lui non se lo fece ripetere due volte e le scagliò uno schiaffo che la tramortì e la fece cadere a terra priva di sensi. Immediatamente Matteo le disse di alzarsi e di smetterla di fare la scena ma Serena non riprendeva conoscenza. Si alzò girandosi verso la porta. I ragazzi erano lì che guardavano la scena allibiti.

Cosa fate lì impalati, datemi il telefono.

Chiamò l'ambulanza e disse loro che la moglie si era sentita male ed era priva di coscienza. Quando arrivarono la presero e la portarono giù in barella, andarono di corsa all’ospedale. La diagnosi era di esaurimento nervoso oltre ad alcune contusioni prese ovviamente dalla caduta. Doveva rimanere in ospedale per un po' di tempo.

Appariva denutrita, fegato in affaticamento, una forte crisi nervosa. Quando si svegliò, accanto a Serena c'era la madre che piangendo le domandava cosa fosse davvero successo. Serena piangeva ma non riusciva a parlare. Arrivarono i bambini con il padre, salirono sul letto per abbracciarla. Lei aveva lo sguardo fisso in alto e quando entrò il marito cominciò a tremare.

La madre disse che era meglio che tutti uscissero perché Serena doveva riposare.

Le chiese di nuovo: cosa c’e’ che non va?

Serena la guardò e disse: la mia vita non va.

La madre le prese la mano promettendole che l'avrebbe aiutata. Chiamò uno psicologo che all’insaputa del marito andava a trovarla due volte al giorno, quando nessun visitatore poteva entrare. Dopo due settimane era riuscita a esternare il suo malessere, dire la verità e acquisire il coraggio di denunciare il marito. La legge avrebbe avuto di sicuro un decorso lungo e problematico poiché doveva indagare su un processo di annientamento psicologico culminato con una violenza fisica, ma era l’unica cosa da fare per andare avanti. Da quel momento, al marito venne impedito l'accesso all’ospedale e un avvocato si prese a carico la separazione.

 

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