Traggo ispirazione dal fatto di cronaca più eclatante di questi giorni e da un post di un amica per fare qualche riflessione. Sul Corriere della sera c'era un articolo di uno psicologo che analizzava il profilo del marito/padre assassino. Diceva che da questo fatto di cronaca emerge che le persone, in particolar modo il soggetto, non riescono più a distinguere la razionalità dall'emozione e che in generale la morte non è più qualcosa di significativo ma solo un fatto spettacolare a se stante.
Una delle cose più scioccanti è la freddezza di quest'uomo che ha assassinato sua moglie dopo aver fatto l'amore, i suoi due figli che dormivano, si è fatto bellamente una doccia ed è andato a vedere la partita dell'Italia fermandosi a gettare il coltello in un tombino. Il distacco dall'atto appena commesso, l'assenza assoluta di segni che facessero trasparire uno shock per la tragedia che si era appena consumata. Un uomo visto come esemplare: una bella famiglia, un buon lavoro, bella casa, due figli, mai un urlo, mai avvenimenti dubbi. Eppure nascondeva dentro qualcosa di tremendo che non ha potuto più soffocare.
Diciamo pure pazzo, sicuramente criminale della peggior specie e poi non ci sono aggettivi corretti per poterlo dipingere.
Come ci possiamo spiegare questo cambio di facciata da vicino di casa esemplare a serial killer?
Forse è il caso di guardare più a fondo nelle cose, analizzare il tipo di persona e quello che faceva. Non sono affari nostri del resto come bravi vicini ci si fa i fatti nostri e si sta alla finestra e di fronte e alle grida di aiuto di una donna (che peraltro non aveva mai gridato nella vita a sentire i vicini) non si interviene, si chiude la tapparella e tanti saluti.
Questa persona aveva sicuramente una vita di facciata: perfetta e lodevole ben inserita negli standard della perfezione. Eppure lui covava dentro qualcosa che non ha mai manifestato nemmeno con le parole. In fondo sarebbe bastato parlare, dire "guarda non ti amo più" e tutto sarebbe finito e tre vite sarebbero ancora nel mondo dei vivi.
Chi non ha insegnato a questa persona ad essere se stesso? Chi ha represso i suoi istinti e non gli ha concesso di imparare a conoscerci e a capire chi era e a riconoscere con estrema naturalezza la fine di una storia d'amore?
Chissà forse sarà rimasto lì perché la famiglia lo avrebbe disconosciuto se avesse divorziato: sai che disonore, sai che onta! E invece no, ha ritenuto più semplice tagliare la gola a tutta la sua famiglia per poter correre da quell'amore che non lo corrispondeva ma che ora, nei suoi pensieri, di fronte alla libertà da ogni vincolo avrebbe potuto sceglierlo.
Ora tutti a gridare alla pena di morte, alla giustizia privata etc ovviamente non sono qui a dire che lo difendo: per me dovrebbe soffrire ogni giorno della sua vita nel mondo più crudele esistente e ripagare la società con il suo servizio fino alla fine dei suoi giorni.
La sua morte a cose servirebbe? A macchiarsi di un ulteriore delitto che non gli consentirebbe di pagare per il suo gesto.
La cosa più grave ancora in tutto questo è l'assoluta semplicità con cui l'uomo è arrivato a questa soluzione. L'opera che bisogna fare sulle persone è ben più difficile di un'esecuzione capitale. Occorre riprendere uno per uno le redini della coscienza, della civiltà e della responsabilità. Fare un'inversione di tendenza modificando i cervelli.
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martedì 17 giugno 2014
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