Un giorno a Modena per riscopre la legalità.
Mi avvicino alla Feltrinelli in lieve ritardo e fuori trovo
già una trentina di persone, qualche poliziotto e la voce in stereofonia del
sindaco Pighi. Mi faccio coraggio ed entro. I ragazzi di daSud (http://associazionedasud.blogspot.com) sono seduti
davanti a Giovanni Tizian (classe 1982 di Bovalino comune della Locride
giornalista free lance presso la Gazzetta di Modena, ha collaborato con
numerosi mensili e testate d’inchiesta che si occupano delle infiltrazioni
mafiose) , Alberto Nerazzini (classe 1973 di Modena, giornalista freelance
d’inchiesta approdato a Report nel 2008) e Giovanni Gualmini giornalista della
Gazzetta di Modena. Pighi introduce con le solite belle frasi della politica dopodiché
passa la parola al direttore della Gazzetta (Gruppo l’Espresso) . Nel pubblico
si scorgono i visi noti di Matteo Richetti Presidente dell’Assemblea
legislativa Regionale, Caterina Liotti Presidente del Consiglio Comunale ed
esponenti del CUP per le professioni di Modena. Il Direttore della Gazzetta
introduce un argomento importante e sempre troppo sulla bocca di tutti senza
molte soluzioni: Giovanni Tizian è un giornalista free lance e come tale, come
peraltro succede per una moltitudine di professioni, sottopagato e precario. Il
gruppo promette di regolarizzare al più presto il contratto di Tizian. Cosa
doverosa ma non solo per la notorietà acquisita in quest’ultimo periodo,
ottenuta purtroppo causa lo scalpore della notizia di assistenza da scorta
armata, ma per la devozione, passione ed impegno che un ragazzo di 29anni mette
nella sua professione. Giovanni rispondendo alla prima domanda di Gualmini parla
della situazione nel territorio modenese che è tutt’altro che rosea. Si parla
di una mafia ben radicata che non agisce sui mercati “sporchi” della droga, del
contrabbando ma piuttosto sul tessuto economico della regione in termini di
edilizia privata e sanitaria, ristorazione, gioco e professioni agendo per
mezzo dei cosiddetti colletti bianchi. Si parla di radicato proprio perché essa
agisce di concerto con la società in tutti quei settori che sono propri del
tessuto economico del luogo. Nerazzini prendendo la parola sottolinea come sia
difficile raggiungere e fare battaglia dall’alto visti anche gli ultimi
accadimenti del Parlamento (il voto per l’assoluzione di Cosentino festeggiato
come un party post-partita) ma di iniziare dal piccolo anche sul personale:
quanti di noi hanno negli occhi l’onestà? Riflettendo sulla nostra persona
abbiamo la certezza di essere puri e incorruttibili? Solo così si può cominciare
a creare un tessuto pulito capace di sovvertire le sporche regole della mafia,
e soprattutto a partire dalla politica sino ad arrivare al professionista o
all’impresa ci siano i poteri per allontanare, con giustificate prove, chi si
macchia di azioni illecite. Si guardi solo alla nostra città – continua
Nerazzini – qui spuntano rotonde ogni 2 metri, costruzioni private che invadono la
città, come non naturale porsi delle domande. Si dovrebbe intervenire dal
piccolo territorio creare una cultura della legalità perché poi questa si
diffonda liberamente. Si prosegue parlando degli appalti pubblici e della
difficoltà di controlli sui sub appalti: finché le gare d’appalto saranno
assegnate col criterio del massimo ribasso non ci sarà nessuna evoluzione. Le imprese
colluse continueranno a proporre prezzi stracciati, che riusciranno sempre a mantenere
grazie ai costo zero dello smaltimento rifiuti, della mano d’opera, dei
materiali e a fare le spese di questo sistema saranno sempre le aziende che
invece operano in regola con i costi reali, costrette quindi a emigrare per
poter lavorare a causa dei prezzi non concorrenziali. E poi che il prodotto
finale sembra non interessi mai e si sa che quando le cose sono fatte male
hanno sempre costi altissimi di manutenzione o di gestione a posteriori. Un
lamento è venuto da un’esponente della CME che ha acquisito alcuni lavori a
L’Aquila ed ha subappaltato ad un’impresa del territorio lavori per 25.000Euro: i certificati antimafia
arrivati con ritardo ma in regola non avrebbero potuto fare presagire della
corruzione dell’impresa cosa che si è poi rivelata falsa. Lo Stato diventa
quindi una parte essenziale nella lotta alla mafia. La burocrazia, i processi
di assegnazione, i controlli sono tutti elementi che dovrebbero essere creati o
modificati in modo da generare un percorso virtuoso che assicuri procedimenti puliti
ed esenti da infiltrazioni. Ovvio che questo “processo pulito” andrebbe poi
esaltato per rendere noto alla comunità qual è la strada da perseguire poiché
si sa che la mafia cerca sempre di mettere a tacere tutti quelli che parlano di
loro e delle loro azioni generando omertà nelle persone e inerzia nei governi.
La parola chiave è l’unione. La solidarietà mostrata a Tizian è esemplare e fa
ben pensare ma come giustamente ha sottolineato Nerazzini la solidarietà da
persone che poi alla domanda “cosa fate per bloccare la mafia?” rimangono in
silenzio e tentano risposte inutili non ci interessa e ne facciamo volentieri a
meno. La vera solidarietà mostrata a questa persona, che non vuole essere
considerato eroe ma solamente un uomo che ha passione e impegno per il proprio
lavoro con costanza, dedizione e determinazione, sta nel continuare a
perseguire la legalità e cercare in ogni modo e in ogni forma possibile, soprattutto
con i comportamenti sociali, di contrastare questo fenomeno mettendo in luce il
più possibile quanto è invisibile agli occhi dei più. E allora diciamo sì a “IO
MI CHIAMO GIOVANNI TIZIAN” cercando di analizzarci e di trovare nelle piccole
cose di ogni giorno nel nostro lavoro e nella vita sociale una coerenza di
comportamento che ci permetta di mostrare una solidarietà sincera e ci consenta
di unirci davvero al suo lavoro e alla sua battaglia.